Cesira e i travagli di don Roberto

Lo vide comparire sulla soglia che pareva l’avessero risvegliato dal sepolcro, quel sant’uomo. Aveva l’aria stravolta ed afflitta, come colui che s’appresta ad attraversare il deserto di ghiaccio dell’esistenza. Lei pensò che stava recitando. Il primo istinto fu quello di accoglierlo con una tazza di caffè  fumante in faccia. A stento riuscì a trattenersi, Cesira. Ricordò della promessa davanti allo specchio: contegno, Cesira, contegno, si era detta. Si limitò a guardarlo impassibile, come l’entomologo che vede comparire un banale e comune scarafaggio, uno di quelli tanto grassi e scuri di fogna. Lui cercò le sue labbra. Lei fece la statua. La colazione servì a cercare di comunicargli il suo stato d’animo, attraverso piccoli gesti tendenti all’insofferenza ed alla nevrosi: un po’ di marmellata schizzata in un occhio; oppure il burro sfuggitole sui pantaloni neri  di lui. Proprio in quella zona del suo orgoglio mascolino, prima ancora che clericale. Sì, il problema era in quella parola: clericale. Lui era un prete. Anche se, dai modi spigliati, si sarebbe detto uomo di mondo. Solo un prete, invece, e neanche tanto ambizioso. A suo dire avrebbe potuto essere anche un vescovo se avesse voluto. Ma egli preferiva la vita tranquilla. Però aveva carisma e aria giovanile, maschia. E lei era una donna non più giovane. Provinciale, tanto ingenua da essersi fidata di quell’avvenente sacerdote dal fascino innegabile. Sempre indaffarato, come chi è intento a fare grandi cose: andava e veniva con la sua valigetta, manco fosse un manager. Per un po’ si era chiesta come facessero i suoi parrocchiani a non porsi domande, a non chiedersi cosa ci avesse tanto da viaggiare il loro parroco, da sud a nord. E un giorno, da un’esame della 24 ore, aveva capito. Nonostante la scoperta, aveva sperato, si era illusa, che si fermasse, che decidesse di abbandonare l’ipocrisia del celibato, finalmente mettendo su famiglia con lei. Solo che, don Roberto, non pareva nemmeno sfiorato da quell’eventualità. E lei aveva dovuto dirsi stanca e stufa. Cesira sapeva cosa volesse dire una vita con un uomo di chiesa. Ne aveva avute altre due di relazioni. Aveva creduto che quella fosse la volta buona, ma le intenzioni erano naufragate miseramente. Non riusciva a spiegarsi quella propensione per maschi in abito talare, per l’amore sacrilego consumato in modo furtivo e fugace. Eppure si sentiva profondamente religiosa: donna di fede salda, una suora mancata per un nulla. Qualche volta si era ritrovata a dirsi che la colpa era stata della dipartita precoce del padre. Un buco oscuro aveva lasciato e ancor dolente.Aveva dovuto farsene una ragione. Pur senza rinunciare a cercare in altri”padri”abbracci caldi e confortanti. Doveva essere per questo che l’aveva conquistata la rassicurante e soddisfatta imprenditorialità di don Roberto. Alla fine, oltre che del suo cuore, e del sesso, si era impossessato persino del suo tempo, regolandolo sulle scansioni del pendolarismo ad oltranza. E, dopo tanti sacrifici, amore profuso, cure a patemi, la sera prima, era accaduto l’inevitabile. Dopo averla amata con più foga del solito, mentre le accarezzava i capelli, nel torpore dei sensi appagati, le aveva sussurrato che avrebbe diradato le visite: perchè le voci si facevano antipatiche ed insistenti. Al punto che aveva dovuto dedicare diversi passaggi dell’omelia domenicale, alle malelingue ed ai loro veleni. Il fatto era che a lei risultava una verità ben diversa. Ovvero, l’amica, quella giovane con cui era andata anni addietro in Polonia in pellegrinaggio, occasione in cui avevano incontrato e conosciuto don Roberto, doveva essere riuscita ad attirare la cupidigia sessuale del bellimbusto. Ne aveva avuto riscontro da un paio d’indizi: il numero di telefono annotato sul breviario ed un biglietto ferroviario con destino il paese dell’amica. Non riusciva a sentirsi gelosa dell’amica. Provava solo disgusto per l’uomo. Quando le aveva comunicato l’intenzione, lei non ci aveva dormito su. Ed aveva perquisito coscienziosamente le cose di lui, ricavandone la certezza del tradimento da un sms sul suo cellulare, due sole parole dal numero fatale: ti aspetto. In bagno, davanti allo specchio, aveva preso una decisione. In quei momenti si era sentita lontana persino dal suo corpo. Aveva bene in mente cosa c’era da fare. Lo aveva capito mentre scrutava i diversi capelli bianchi, affioranti tra i folti capelli ricci castani che le ricadevano sulla pelle, ancora candida e liscia del collo. Le si era consolidata intanto che esaminava il seno generoso. Aveva lasciato scivolare le dita sul ventre ancora piatto, a constatarne il velluto una volta di più.Aveva pensato che,la sua rivale, sebbene più giovane, non poteva vantare tanta grazia, dannata vanità mascolina! Aveva cercato nell’armadietto dei farmaci. Ne aveva estratto un flaconcino mezzo pieno .E si era diretta in cucina, a preparare la colazione. Alla fine  del pasto più silenzioso e triste, della loro storia di amanti, l’uomo si alzò. La baciò, attardandosi sul collo, scendendo fino alla scollatura del kimono leggero che indossava, poi arrivò al petto quasi denudato, giocherellando con i capezzoli in punta di lingua. Lei resistette alla tentazione di abbandonarsi, lasciandosi piegare sul tavolo. Anzi, lo spinse dolce, ma decisa. Rammentandogli il treno, che rischiava di perderlo, che l’aspettavano al convento svizzero. Quasi lo buttò fuori con tutta la sua valigetta. Quando fu in strada, don Roberto parve rinascere d’un botto. Con un grosso sospiro di sollievo, si avviò quasi fischiettando: la giornata gli sorrideva con un sole che s’alzava sbadigliando tiepido in cielo. Gli uccelli gli facevano festa tutto d’intorno. Ma non durò molto: i crampi al basso ventre giunsero improvvisi e micidiali. Non riuscì a pensare nemmeno alla toilette del bar più vicino, che si ritrovò pieno e puzzolente. Non gli restò che continuare, mesto e sconcertato, fino al sicuro asilo in stazione. Si accorse di avere qualcosa in tasca della giacca. Infilo una mano e trasse fuori un foglio. Dopo averlo spiegazzato, lesse: “Non provarci nemmeno a tornare”, c’era scritto a firma Cesira. Stava per accartocciarlo indignato, quando venne attorniato da tre finanzieri in divisa. Era a pochi passi dalla salvezza, pensò con dispetto e rassegnazione. Con aria schifata per il puzzo ammorbante, gli avevano chiesto i documenti. Accompagnandolo poi in uno stanzino della polfer .L’ì una guardia lo scortò in bagno turandosi il naso. E potè darsi una rinfrescata, cambiando abiti e biancheria. Ritornato, cominciarono una chiacchierata che portò i militi ad aprire la valigetta, scovare il doppio fondo e chiedergli ragione di tutti quei soldi che ci comparivano galeotti e per magia. A quel punto, il pessimo don Roberto si convinse che la perfidia delle donne non conosceva limiti.

03 Novembre 2012  woodenship

20 pensieri su “Cesira e i travagli di don Roberto”

  1. Ma non direi proprio la perfidia delle donne, caro Don Robertino!, “Chi è causa del su mal pianga se stesso”, i vecchi proverbi non sbagliano mai … Bellissimo racconto W, mi è piaciuto tantissimo, questa è la tua prosa che preferisco, la tua fantasia è impareggiabile, divertente, brioso, scorrevole … bravo, complimenti. Kisses. 😀

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    1. Grazie infinite mia dolce marianne per le parole tanto lusinghiere, non posso negare di essermi divertito parecchio, scrivendo questa storiella, ispiratami dal racconto fattomi da un’amica al riguardo dei gusti”particolari” di una sua conoscente……….Un bacio di vento soave…….

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      1. Tantissimi sono i don Roberto in giro: la mondanità è qualcosa di molto più che una rinuncia, è una provocazione che alla lunga finisce per avere la meglio. Del resto siamo tutti esseri umani e governare gli istinti non è come schioccare le dita… Bacio di petali profumati……..

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      2. Vero, noi non l’abbiamo scelto. Ma quante cose si fanno, pur non avendo scelto di farle. E poi chi non cambia idea almeno una volta nell’arco dell’esistenza? Questo lo dico da anticlericale convinto che spera sempre che questi vengano finalmente allo scoperto, in modo da por fine a questa ipocrisia secolare…
        Abbraccio dei più cari…

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  2. Non posso che concordare con Marianne per quanto riguarda il tuo scrivere, mi sembra più rilassato, più libero di essere.
    Degli amori clandestini se ne può perdere il conto. E l’amore per un prete non è diverso dagli altri. Forse è il proibito che ne fa in certi casi qualcosa di allettante…

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    1. Sì, il gusto del proibito ha sempre la sua forza. Se poi ad esso si aggiunge pure il profumo della sacralità, allora la frittata è bella che fatta: in un sol colpo ci si ritrova a vivere una storia dannata e clandestina con tutti i crismi del sacro, del profano e pure del perverso…Grazie infinite per le considerazioni. Diciamo che, la materia in questione, ben si presta ad una certa rilassatezza e quindi al piacere della narrazione per la narrazione. E’ tutto un problema di scelte stilistiche e di cosa in fondo si vuol comunicare. In questo caso mi pareva logico affrontare la tematica con una certa leggerezza di toni… Sono assai felice che ti sia piaciuto………..Un abbraccio ed una carezza di luna affinchè ti culli per una notte serena……

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    1. Saprai meglio di me, mia dolce viki, che molti uomini di chiesa hanno già superato il concetto di peccato e i relativi sensi di colpa. E che dunque ci si immergono spensierati, per nulla preoccupati dell’inferno o della scomunica: qui ed ora, domani si vedrà… Un sorrisone e grazie infinite mia dolcissima pulzella………

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      1. Mica tanto facile rinunciare alla posizione e privilegi, vorrebbe dire reinventarsi una vita partendo da zero: troppo pochi hanno questa capacità e volontà…….Abbraccio di plenilunio…Dalle tue parti deve essere spettacolare…

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  3. Woww veramente bello questo racconto caro Wood, bello e divertente. La signora gliel’ha fatta pagare cara al Don, nonostante anche lei non fosse una “santa” visto che prediligeva relazioni talari ahahaha
    Che figuracciaaaaa 😀
    Un salutone e un abbraccio, Pat

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    1. Dinamiche sentimentali nelle quali è meglio non entrarci, mia cara Pat. Di certo è stata una tenzone in cui il prete non ha avuto la meglio.
      Grazie infinite ed una carezza di plenilunio…

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