Un oscuro viaggiare(13-14)

pexels-photo-7615366.jpeg
Photo by Thirdman on Pexels.com

13)
Si sentiva quasi soddisfatto, tanto da riuscire a gustarsi persino la cerveza, di marca scadente e per nulla fredda, che aveva davanti.

Poche ore prima, il comandante Orozco Castellanos, stava guardando la testa del sergente Mendoza sulla sua scrivania… No, non era sulla sua scrivania, pensò, era sul cofano impolverato della sua auto nera dai vetri oscurati, un suv piuttosto costoso. Poco più in là era in atto uno scontro epocale tra uno scorpione e orde di formiche rosse. Il luogo era tra i cactus dalle braccia pelose, solitario e bruciato nell’ora della siesta. Orozco era accorso subito, quando l’avevano chiamato.

Bevve un sorso dalla bottiglia. Il liquido era insapore, ma lo mandò giù lo stesso. Alcuni avventori scherzavano al riguardo dell’ultima partita di calcio dell’America con il Libertador: pessima, a loro parere.

La vampira gli era andata vicina, arricciando il naso e annusandolo spietata. Con l’unghia,gli aveva provocato un graffio leggero sulla guancia paffuta, la sinistra. Abbastanza da fargli scorrere una goccia di sangue. L’aveva raccolta con l’unghia, osservandola con interesse e schifo, prima di leccarla. Non era così male, aveva concluso. Perle di sudore si erano gonfiate sulla fronte del poliziotto che tremava impotente. La vampira gli stava dicendo che solo lui era al corrente della missione, oltre al generale Vargas. Ma che, guarda caso, un sergente cerca di attirarli in trappola. Fallita questa, se ne ritrova la testa nella discarica. E lui, capitano Orozco Castellanos Roberto, non trovava di meglio che giurare sui suoi figli che lui non c’entrava. E che, forse, tutte quelle scomparse di giovani donne non erano altro che fughe d’amore. Fughe sotto terra, aveva concluso lei, a sud del Rio Bravo.

Un giovane dall’aria feroce fece il suo ingresso nella cantina. Osservò attento l’uomo e la sua birra, questi non parve farsene, mentre centellinava la sua brodaglia con aria beata. Andò da quelli che stavano parlando di calcio, scambiando sguardi di intesa con loro. Lui finì la bottiglia e ne ordinò un’altra, ma ben fredda, ‘stavolta, si raccomandò con l’oste.

Il comandante non aveva voluto nemmeno ammettere la stranezza dei fatti. E, diventando paonazzo, li aveva ammoniti dall’andare oltre. Ma la vampira c’era già andata, assestandogli un manrovescio. Dicendogli che, se la caccia si era aperta, lei non ci stava a far da lepre. Solo uno straccio di prova, e lui avrebbe finito la carriera tra le formiche.

Un rumore lo distrasse: uno dei tifosi aveva spostato una sedia, e stava facendo il giro del bancone per andare alle latrine. Notò che aveva un rigonfiamento sotto la camicia. Rimase imperturbabile. L’oste gli aveva portato la sua birra, finalmente fredda ‘stavolta. E iniziò a scolarsela con ingordigia, gustandosi la faccia di Orozco.

Orozco aveva creduto di essere rimasto da solo, vedendoli allontanarsi sulla strada sterrata. Fatte un paio di svolte, al riparo di un dosso, la vampira gli aveva detto di fermarsi. Rapida ed invisibile, come solo lei sapeva esser capace, lo aveva condotto tra i cactus, proprio mentre il capitano stava parlando al telefono. Stava discutendo con un certo don Angel, dicendogli che doveva essere lui, don Angel,ad occuparsene: Vargas voleva la sua di testa. Ed egli, come poliziotto, ci aveva già provato ed era andata male. Aveva dovuto sacrificare uno dei suoi uomini migliori, il sergente Mendoza. Non poteva esporsi ulteriormente, mettendosi apertamente contro Vargas. Stava dicendo che sì, che adesso poteva respirare, ma che se l’era vista brutta. Che era stato l’infame Vargas a mandarla lì per metterla contro lui ed i suoi alleati. Forse aveva fatto male, don Angel, a cercare di affrancarsi dalla sua protezione. E che, adesso che quella era lì, rischiava di fare grossi guai e rovinare i traffici alla frontiera del norte. Bisognava eliminarla al più presto. Rassicurato, aveva chiuso la comunicazione. Però non era riuscito a rilassarsi troppo, perchè aveva sentito qualcosa di appiccicaticcio al collo. Si era passato la mano, ritraendola sporca di sangue, e accorgendosi che stava muorendo. In quell’attimo lei gli era andata davanti, catturandone l’ultimo lampo dagli occhi.

Sapeva essere tremendamente ingorda la vampira, si era detto tra se e se, finì di vuotare pure quella bottiglia. Sapeva che il vaquero, quello che avrebbe dovuto trovarsi in bagno, gli stava strisciando alle spalle. Con gli altri di fronte pronti pure loro. Senza esitare usò la bottiglia come proiettile, mandandola a disintegrarsi in faccia al primo aggressore. I complici, sorpresi, con le armi già in pugno, non riuscirono ad usarle, finendo riversi e sanguinanti. Lui gettò delle monete sul tavolo ed uscì dalla cantina: non sembrava che ci fosse rimasto altro di vivo in quel locale, oltre all’oste, raggomitolato dietro il bancone. Una volta fuori, andò alla fermata dei bus. Prese il primo che si fermò e, più avanti, discese per prenderne un altro: direzione Mexicali prima, e poi verso la Sonora, da qualche parte doveva vedersi con la Vampira.

In un altro pianeta, ma non lontano da lì, all’interno di una base militare, Il generale Vargas era appena tornato nel suo appartamento. Era stanco, dopo una giornata di riunioni intense. Accese il televisore. La moglie, con i figli, doveva essere andata a far compere in città. Sul tavolino all’ingresso c’era un biglietto su cui c’era scritto che gli voleva bene. Si era versato del cognac, lasciandosi andare sul divano. Stavano dando le ultime notizie sulla guerra quotidiana ai narcos: rinvenimenti di morti decapitati, sindacalisti rapiti, altre ragazze, lavoratrici di maquilladoras, rapite. Ma una, in particolare, lo aveva quasi fatto sobbalzare: era apparsa una foto con su una faccia che conosceva: era il comandante Orozco, capo responsabile della squadra omicidi di Ciudad Juarez. Era stato trovato con la gola tagliata, vicino alla sua auto. Si pensava ad un agguato dei narcos, un regolamento di conti, viste le informazioni che si avevano di corruzione al riguardo del personaggio. Automaticamente, impugnò il telefono, componendo un numero:”Hurtado?” Chiese, alla risposta affermativa,aveva detto:”Il nostro virus comincia a fare effetto?” All’altro capo, Hurtado aveva confermato. Vargas si era raccomandato allora di marcare stretto e tenere gli occhi bene aperti, riattaccando subito dopo con le labbra atteggiate ad una smorfia che voleva essere di soddisfazione. In tv, intanto, erano passati ad uno scontro a fuoco in una cantina alla periferia est della città: uno sconosciuto aveva ucciso cinque uomini in un altro probabile regolamento di conti tra spacciatori.

pexels-photo-1222561.jpeg
Photo by Tim Eiden on Pexels.com

14)

Il vento giocava con le prime ombre sul far della sera, creando mulinelli di polvere, e facendo rotolare cespugli incontro al tramonto. Era già da un pezzo che si era fermato ad assaporare quella quiete imponente e solenne che solo il deserto sapeva comunicargli. La sera stendeva la sua coperta scura sulla terra arida e sulle case cadenti del Barrio Perdido. Ciudad Juarez già avvampava lontana di luci, come un vulcano sfidava le tenebre. Per quanto ci provasse, non riusciva a ricordare come ci fosse arrivato in quella capanna sull’isolotto da qualche parte nel Caribe messicano, tra i pescatori. Su una trave sospesa due topi si rincorrevano come su un’autostrada. Parevano spuntare dal nulla: correvano raschiando con le zampette, veloci sul legno. Poi tutto ripiombava nel silenzio. Quando cercava di andare oltre quelle pareti scrostate dalla salsedine, lo prendeva un dolore sordo.

“Que pasa,caballero?” Gli chiese una voce femminile, piena e cantilenante, come solo le donne nortegne. Si girò a guardarla: una prostituta, pensò.

“Vien con migo!” Lo invitò,indicandogli le luci di un motel malfamato poco distante. “Non soy una puta”ci tenne a precisare”es que tu me gusta mucho, y esta noche tiengo mucho frio.”Ne approfittò per dargli un bacio sulla guancia e mormorargli all’orecchio che la mandava la vampira. Lo prese per mano, guidandolo, manco fosse cieco.”Eres gringo?”La guardò cercando una risposta che non veniva. Era molto giovane e bella, per nulla truccata, indossava una maglietta larga e dei jeans attillati:”No sè”rispose con smaccato accento yankee, davanti alla porta del motel. Lei gli disse di aspettare una decina di minuti, il tempo di farsi una doccia, prima di raggiungerla in camera.

Lui si aggirò per il patio. Nulla da fare: rivedeva il curandero, il vecchio ubriacone che entrava: Gli cambiava le fasciature. Puliva le ferite che già gli facevano meno male. Recitava le sue formule incomprensibili, per poi tornarsene alla sua bottiglia di succo di canna. Quando il dolore gli era passato del tutto, si erano parlati a lungo. Non gli era rimasto molto di quei discorsi. Solo che era stata la vampira a portarlo lì, come Caronte con le anime morte: una notte aveva attraversato su una barca, lo stretto braccio di mare tra l’isola e la terra ferma. A bordo c’era lui, moribondo. E l’avevano dato per morto diverse volte. Intanto si aggirava tra piante assetate e vasi dai fiori spossati che parevano godersi l’umidità serale. La vampira avrebbe dovuto farsi viva da un pezzo. Dovevano trovarsi lì in quel posto sperduto. Lei spariva sempre. E sempre se la ritrovava nella mente: misteriosa e anch’essa senza passato, come lui, sapeva di morte. Si avvicinò alla porta della stanza della ragazza. Dall’interno proveniva una voce stridula e lamentosa, cantava”A Guanajuato, la vida non vale nada! Empieza llorando y se acaba llorando!”Fece girare la maniglia ed entrò. Era una radio che seguitava a gracidare di una città in cui, il pianto, segnava l’inizio e la fine della vita senza valore delle persone.
Esitò sulla soglia,quasi colpito dall’ala di un pellicano che, in picchiata, giungeva a rapinare il pesce che un ragazzo aveva gettato dal pontile dell’isola. Erano stati così pieni di sole quei giorni: Il curandero, tra mosquitos e tafani, gli raccontava sempre la storia di una bruja che, un giorno, lo aveva aggredito con un collo di bottiglia rotta, perchè aveva osato strapparle l’anima del figlio di una sua conoscente. Allora era servito anche uno sganassone, per potersene sbarazzare. La strega aveva dovuto lasciare il campo scornata:”Me vale madre!”Aveva esclamato, mentre decapitava un cocco con il machete, versatoci dell’aguardiente, glielo aveva porto:”Bevi ti aiuterà a guarire più in fretta.”Lo aveva incitato.

segue…

23 Gennaio 2012  woodenship

pexels-photo-14375801.jpeg
Photo by Heber Vazquez on Pexels.com

4 pensieri su “Un oscuro viaggiare(13-14)”

  1. Mi piace questa atmosfera splatter di sangue morte e la dimensione altra, soprannaturale del racconto.
    Forse, se posso, bisognerebbe sfoltire un po’ la trama: in alcuni casi gli intrecci diventano difficili da riconoscere e bisogna ritornare indietro (almeno a me così capita). Spero non ti abbia infastidito questa mia osservazione. Ma il racconto ci sta tutto ed è bello.
    🌹🌹🌹

    "Mi piace"

    1. Si, non è di facile lettura, hai perfettamente ragione. Del resto non sono uno scrittore. Più che la trama, mi pare che dovrei affinare la tecnica narrativa. Vista la presunzione che ho avuto nel volere narrare una storia su diversi piani temporali. Purtroppo non ho più tempo per metterci mano. Comunque sono felice che tu possa apprezzarlo ugualmente.

      Grazie di cuore carissima, è sempre un immenso piacere quando si può discutere entrando nel merito delle cose. Dunque te ne sono doppiamente grato delle tue osservazioni🌹🌹🌹

      Piace a 1 persona

Lascia un commento