Mahabharata

Film del 1989 del regista Peter Brooks, uno dei massimi registi teatrali del secolo scorso. Con uno strepitoso Vittorio Mezzogiorno, purtroppo venuto a mancare molto giovane, privandoci della straordinaria bravura troppo presto.

Non ci sono molte parole per dirne, penso sia meglio la visione di quest’opera straordinaria di un regista visionario.

Solo due parole: in questi tempi in cui sembra che la guerra fratricida sia sempre più evento ineluttabile nel cuore dell’Europa. Nel film, nel dialogo tra Krishna e Arjuna prima della battaglia, si possono cogliere significati che vanno ben oltre la razionalità occidentale nel concepire il conflitto.

Forse si possono intendere come un tocco di fatalità.

Il conflitto è nella natura delle cose: un bosco col tempo finisce per dimostrarsi un intrico di piante che si soffocano a vicenda; la fauna cresciuta in modo smisurato impoverisce ulteriormente il territorio. Il fuoco può risolvere il degrado che porta alla desertificazione inevitabile, pur devastando e massacrando: col tempo la vegetazione si rigenererà e crescerà più forte, la fauna ritroverà i suoi spazi vitali per riprodursi.

Perfetta metafora della guerra. Ma noi esseri umani che ci diciamo evoluti possiamo rassegnarci alla naturalità delle cose? Possiamo rinunciare a curare il bosco in modo che le fiamme non si rendano necessarie per riequilibrare l’ecosistema che va verso la saturazione e il degrado, a causa dello sfruttamento esasperato del territorio e della crescita demografica fuori controllo?

Dal sito della Treccani:

Peeter Brooks fu regista teatrale e cinematografico inglese (Londra 1925 – Parigi 2022), esordì giovanissimo nella regia teatrale con il Doctor Faustus di Marlowe (1943), imponendosi come acuto interprete del teatro di Shakespeare (Pene d’amor perdute, 1946; Re Lear, 1962; La tempesta, 1968; Sogno di una notte di mezza estate, 1970; Antonio e Cleopatra, 1978); direttore della London’s Royal Opera House (1947-50) e dal 1962 della Royal Shakespeare Company, ha affiancato al repertorio tradizionale opere moderne e lavori sperimentali, recependo in particolare le indicazioni del “teatro della crudeltà” di Artaud (Les paravents di J. Genet; 1963, Marat-Sade, 1964, e L’istruttoria, 1965, di P. Weiss; US, 1966). Nel 1970 ha fondato a Parigi il Centre international de création théâtrale, dove, sotto l’influenza di J. Grotowski e del Living Theatre di J. Beck, sono state sperimentate le possibili applicazioni teatrali di un linguaggio non significante, improvvisato e massimamente gestualizzato (Orghast, 1971; Les Iks, 1975; Ubu roi, 1977; Mahābhārata, 1985; Woza Albert, 1989, nuovo allestimento della Tempesta, 1990; Who is there, 1995; Sizwe Banzi est mort, 2006). Tra i suoi film: Moderato cantabile (1960); Marat-Sade (1966); King Lear (1970, per la telev.); La tragédie de Carmen (1983, per la telev.); The tragedy of Hamlet (2002, per la telev.). Tra i suoi scritti: The empty space (1968; trad. it. 1968); The shifting point. 1946-1987 (1987; trad. it. 1988); The open door (1993; trad. it. 1994); Oublier le temps (2003).

26 pensieri su “Mahabharata”

    1. Mi dispiace ma non so dove trovarlo. Io l’ho visto al cinema che era appena uscito ed era una riduzione di circa tre ore dello spettacolo teatrale che invece durava più di 9 ore. Su Youtube ho trovato solo quel poco che ho inserito nel post.
      Anche a te una buonanotte e grazie di cuore 🌹

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    1. Saggezza indù, con tutte le sue luci ed ombre. L’opera del regista è stata straordinaria, soprattutto nel cercare di rendere universale il poema epico da cui ha tratto il suo spettacolo, riuscendoci.
      Per darti un’idea della complessità dell’opera, ti riporto un brano da wikipedia:

      “Spettacolo dal ritmo solenne e dal tono decisamente epico, sia per il testo scelto, che è il più lungo poema epico non solo della letteratura indiana, ma mondiale, sia per la varietà delle tecniche recitative e coreografiche. Vi si colgono infatti riferimenti allo straniamento brechtiano, al teatro della crudeltà di Artaud, al Kathakali indiano, oltre che agli spettacoli di marionette e alle arti marziali. Il cast degli attori è assai nutrito (tra i venti e i trenta) e di stampo decisamente internazionale, sicché ognuno di essi parla francese o inglese con l’evidente influsso della sua lingua madre. Questa varietà di interpreti e tecniche riesce tuttavia ad amalgamarsi in uno spettacolo che appare decisamente unitario. La scenografia è spartana ma suggestiva, mostrando soltanto una pozza d’acqua e un rigagnolo, circondati da sabbia.[3][4]”

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  1. Presentare la guerra come opera ineluttabile per dirimere questioni tra popoli oggi è pericoloso. Prima i popoli, pur nelle contese, si rispettavano e alla fine delle guerre mantenevano confini e regole. Oggi esiste solo prevaricazione e potere.

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      1. Sì, l’ho letto. Non so a chi, tra me e Silviatico, tu abbia raccomandato di non chiedere perdono.
        Mannaggia a me che mi sono ficcata in un post che non sono riuscita a inquadrare bene, e sono rimasta un po’ spiazzata di fronte alla parte del tuo commento che diceva “Prima i popoli, pur nelle contese, si rispettavano e alla fine delle guerre mantenevano confini e regole (???). Oggi esiste solo prevaricazione e potere”.
        Però ti avviso: il discorso sulla cultura cinese dell’I Ching me lo puoi fare anche di giorno, ma tanto non lo capisco lo stesso! 😀

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      2. Sorrido; non ti preoccupare, non lo faremo. Però possiamo fare un gioco con l’I Ching, anche da lontano (facile e veloce il tuo compito) che comunque ti avvicinerà a quel mondo.
        Buona serata. 😄🌹

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    1. Perdonami, ma la tua visione storica mi pare un tantino rosea: nella storia non sono infrequenti i genocidi. A partire proprio dalla narrazione biblica, in cui si racconta del massacro e dell’estinzione di interi popoli pacifici, per permettere alle tribù d’Israele di impossessarsi dell’eredità promessa loro da Jahvè.

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    1. Penso che per i registi sperimentali del ‘900 sia stato assai importante lo studio delle culture teatrali orientali, proprio a partire da quelle dell’India per giungere ai cinesi e giapponesi, nel tentativo di ampliare la conoscenza, gettare ponti e iniziare nuovi percorsi.
      Grazie di cuore

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      1. un secondo commento, con i riferimenti a quel tanto di esperienze teatrali fatte nei miei viaggi in India (Kerala, col teatro kathakali, e Varanasi), ma anche in altri paesi dell’Asia, è andato cancellato prima che riuscissi a spedirlo.

        meglio così, poteva sembrare una fastidiosa esibizione; il concetto fondamentale era comunque che in queste culture il teatro è fortemente ritualizzato, quasi come fosse un rito religioso (ed era così anche nell’antica Grecia). questo lo oppone al realismo borghese del teatro occidentale, e forse era questo che affascinava anche Brooks.

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      2. Peccato che sia andato perso il tuo commento: mi sarebbe piaciuto molto leggerlo. Non è che io sia un esperto di teatro. Però mi ritengo persona assai curiosa e non mi dispiace potere a crescere la conoscenza anche in ambito teatrale. Purtroppo la mia stagione di frequentatore di teatri è durata molto poco. Ma quel poco mi ha lasciato ugualmente un buon sapore sul palato.
        Per il resto, credo che il teatro, come tutte le altre espressioni culturali, sia sempre specchio delle società in cui si celebra. Specchio critico il teatro negli ambiti culturali occidentali, è specchio estetizzante nel gesto e tendente alla staticità pervasa da spiritualità, quello orientale.
        Grazie di cuore

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      3. neppure io sono un esperto di te, anzi probabilmente ne ho un’esperienza molto più limitata della tua.

        nel commento non avevo aggiunto considerazioni particolarmente profonde, quindi, e l’essenziale che avevo da dire lo ritrovo già espresso in questo tuo commento.
        magari faccio qualcosa di più utile mandandoti le riprese di uno spettacolo teatrale katakhali del Kerala. te le mando in commenti staccati, per non finire nello spam. ma se non hai voglia di guardare tutti i tre video, il primo potrà già bastare per confermare quello che dici sula concentrazione del gesto in questo teatro.

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  2. Hai ragione, anche se io volevo porre un po’ di più l’accento sulla contraddizione e conflitto interiore dell’uomo pacifico costretto comunque a combattere una guerra per un senso “alto” di giustizia. Da qui è arrivata la visione (di tarda notte 😊) rosea dell’umanità. Di guerre, massacri, genocidi feroci e prevaricatori ne è piena la storia della millenaria umanità. (sai, quella visione rosea è anche frutto della influenza che esercita su di me la cultura cinese dell’I Ching, ma questo non è un discorso da tenere di notte☺️).
    Non chiedermi, se puoi, mai più perdono quando devi contraddirmi: io amo il confronto.
    Grazie per il tuo commento.

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    1. Concordo con te che di notte non si possano trattare certi argomenti, pena la fusione dell ‘unico neurone che mi latita nella crassa materia grigia🤣🤣🤣🤣🤣
      Grazie a te carissima e di cuore assai, anche per le precisazioni esaustive e gentili assai.🌹🌹🌹❤️💫✨️⭐️🌺

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